Il lavoro femminile e l’investimento che su
di esso avrebbero dovuto fare i vari governi italiani negli ultimi 20 anni e più,
sono la vera piaga del nostro Paese.
Tutto ciò sembra andare in controtendenza rispetto a quello che
veramente ci chiede l’Europa, ovvero portare il livello dell'occupazione delle
donne al 60%, livello previsto dal trattato di Lisbona (Europa 2020), il che
tra l’altro porterebbe ad un aumento del PIL del 7% .
Se guardiamo i dati delle classifiche
mondiali, l’Italia è al 74° posto su 134 nazioni per parità di diritti tra
uomini e donne, al 49° posto per quanto riguarda il grado di istruzione
raggiunto dalle donne (Banca d’Italia ottobre 2011).
Ma vediamo i dati dell’occupazione femminile: in Italia è occupato il 46% circa delle
donne, contro il 68% degli uomini. Naturalmente il Mezzogiorno è il fanalino di
coda del Paese: al Sud lavora solo il 33% delle donne, cioè 3 su 10.
In Europa qual è la situazione? Nel primo
trimestre 2011 la media dell’Unione Europea dell’occupazione femminile è del
58,1%. Quindi l’ Italia è molto, ma molto indietro
rispetto ai partner europei.
Accenniamo ora ad un altro aspetto che
riguarda le pari opportunità: la differenza salariale.
Si è giunti alla legge sulla parità salariale
da anni ma di fatto, le differenze
retributive tra donne e uomini sono sotto gli occhi di tutti: a parità di
anzianità lavorativa c’è una
differenza tra il 25 ed il 30 % delle retribuzioni effettive tra donne ed
uomini. Ad esempio, una donna di 46 anni con 20 anni di servizio ha uno
stipendio inferiore a quello di un maschio di un quarto (25%) causato da vari
motivi:
- nel corso della sua vita lavorativa la donna
spesso chiede il part-time per accudire i figli o comunque non dedica molto
tempo extra cioè oltre il normale orario di lavoro e ciò le causa un ostacolo
alla sua carriera per evidenti motivi.
- Il ricorso a forme quali straordinari serali,
notturni e festivi e forme varie di incentivazioni è uso esclusivo degli uomini.
- Inoltre non è da sottovalutare un problema
culturale per cui nelle aziende sia private che pubbliche le promozioni e i
passaggi di carriera vedono sempre i maschi davanti alle donne.
Guardiamo per di più ai vertici delle aziende
(sia pubbliche che private): le
donne sono una pura ed accademica eccezione.Tutto ciò nonostante
le donne conseguano risultati sia nella scuola che all’università
oggettivamente superiori a quelli dei maschi (fonte: Istat Annuario Statistico Italiano 2010/ studio
Dipartimento Formazione e Ricerca della Cgil Nazionale febbraio 2012).
Il tutto è anche aggravato dalla mancanza di servizi sociali (soprattutto al Sud) che rende il carico di lavoro femminile
ulteriormente pesante ed insostenibile.
Un aspetto particolare riguarda anche l’effetto dell’allungamento dell’età pensionabile: cominciano a mancare gli appoggi delle
nonne e dei nonni (costituenti il sostituto naturale del welfare) che
invece devono continuare a lavorare e non possono pensare più ai nipoti.
Un altro dato importante riguarda l’abbandono del lavoro da
parte delle donne (8,7%), in particolare delle giovani mamme (13,1%),
delle donne meridionali (10,5%) e con titoli di studio bassi (10,4%). A
differenza di tante altre pillole amare che le lavoratrici e i lavoratori devono ingoiare in nome di “come
ci chiede l’Europa”, in questo caso le richieste europee sono completamente
disattese ed ignorate in Italia.
Risulta perciò molto importante l’attivazione
di adeguate politiche formative e per lo sviluppo che guardino con attenzione
al lavoro femminile.
Teresa Potenza per l'Associazione La Casa delle Donne a Napoli